Nelle “immagini” di Sergio Cammariere
Intervista al cantautore presente nel Paesi Bassi al “The Hague Jazz Festival"
Si è tenuto il 23 e il 24 maggio a Den Haag il “The Hague Jazz Festival”, appuntamento annuale che ha visto ancora una volta confermare la città olandese, conosciuta da noi italiani come L’Aia, uno dei più grandi centri interculturali d’Europa. Protagonista internazionale nella scena del jazz sin dal 1976, anno in cui Paul Acket, editore con la passione per il jazz organizzò la prima edizione ufficiale del North Sea Jazz Festival, evento ritenuto dai jazzofili “il Bengodi del jazz” e che dal 2004 ha trasferito la sua location a Rotterdam, Den Haag ha proposto in questa quarta edizione in un weekend all’insegna della buona musica, una kermesse musicale dal blues al funk, dal soul al rock. Più di settanta artisti si sono esibiti sui palchi del World Forum, il centro congressi ubicato nella zona internazionale della città che ha nuovamente visto i suoi spazi, tra corridoi, sale, autitorium e atri, pullulare di gente (oltre 8.500 i visitatori). Il festival ha ospitato musicisti born in the USA come Hank Jones, pianista e compositore, Joe Lovano, tenor sassofonista, George Duke, pianista. Tra i nomi in cartellone Sergio Cammariere, l’unico nome italiano insieme a quelli di Francesco Angiuli, contrabbattista oggi ventisettenne emigrato quattro anni addietro dalla Monopoli del tacco italiano per studiare al Koninklijk Conservatorium di Den Haag, e Fabrizio Bosso, trombettista definito dalla stampa italiana ed estera uno dei talenti più brillanti nel panorama del jazz europeo. Ero curiosa di conoscere come il noto pianista di origini calabresi, che ha trasmesso al pubblico pagante del “The hague Jazz fetisval” non solo melodie elegantemente poetiche, ma anche vibrazioni dalla vivacità intesa all’italiana, vivesse quel momento e soprattutto quali riflessioni potesse fare nel paragonarlo ai festival italiani. Tra un concerto e un altro si è svolta così tra noi una piacevole chiacchierata.
Sergio, dopo aver suonato sui palchi dei più grandi manifestazioni jazz in Italia, come Pescara jazz nel 2004 e Umbriajazz nel 2005, puoi fare un paragone con il The Hague festival?
Non esiste il paragone! Qui siamo immersi nella cultura nord-europea, siamo vicini a Londra e alla Danimarca, non si avverte il peso americano come avviene invece in Italia. C’è un misto di culture che ti permette di percepire quella internazionalità che poi diventa una delle principali chiavi dei festival del nord Europa. Considerazioni sull’organizzazione? Inutile dirlo, lo sappiamo già, qui le cose funzionano e vi è l’attitudine a concentrare tutto in pochi giorni. I festivals italiani sono organizzati diversamente e i biglietti sono anche più costosi perché solitamente il pubblico paga ogni singolo concerto. Questo festival ha una sola “entrata” giornaliera e il visitatore gira per tutto il festival ascoltando musica di ogni genere ovunque, in ogni sala, in ogni angolo di questo posto, anche nelle jam session che si svolgono a notte inoltrata… l’atmosfera è gioiosa e si respira fortemente l’interculturalità. Personalmente credo sia il contesto a far funzionare le cose, e in Italia se spesso si procede a singhiozzi è perché il sistema politico, così come quello mediatico, non ci permettono di ottenere risultati migliori. Gli amici italiani che vivono qui in Olanda hanno un’idea particolare dell’Italia oggi: il nostro premier è quasi una barzelletta! In Italia ci sono tanti validi festivals con programmi interessanti, probabilmente i nomi degli artisti che si stanno esibendo qui oggi li vedremo a luglio a Perugia, ma vengono poi limitati dal contorno, quel contesto che invece di proporsi come sostenitore, spesso ne diventa l’ostacolo. Lo si capisce anche dal numero dei conservatori presenti in Olanda, uno per ogni provincia quasi, mentre in Italia i conservatori di musica stanno vivendo una grave crisi.
Perché Sergio Cammariere al The Hague jazz festival? Giriamo l’Europa, siamo stati in tournée in Francia, in Germania, in Spagna. Un compositore e pianista come me in questo panorama è un allegato che cerca di creare un’interplay, che ha l’attitudine di creare la musica in quel momento e quindi, essendo poi il jazz fondato sugli standard, anche la musica di un piccolo cantautore italiano può diventare jazz. C’è attuazione, come diceva Carmelo Bene, cioè trasformare in note la cosa che nasce dal tuo cuore al quale confluiscono sempre nuove informazioni dovute alle circostanze, alla natura, al clima, all’armonia nel mondo.
Come conoscevi Den Haag prima? Conoscevo il North Sea Jazz Festival, conoscevo questa città per questo.
Quanto è importante per te questo festival e cosa significa per un’artista essere presente nel panorama europeo? E’ sicuramente importantissimo per la mia crescita, è fondamentale per migliorare. Una delle cose più belle di questi festivals è che si ha la possibilità di fare incontri straordinari e di condividere un momento positivo con musicisti di diversa formazione. Durante i nostri tour in giro per i paesi europei abbiamo capito quanto la musica sia importante anche dal punto di vista sociologico: la musica si rivela la giusta panacea anche per chi soffre di solitudine. E’ la magia della musica, un potere grandissimo che qui in nord Europa è ben capito: la televisione e la radio trasmettono musica di qualità, dalla classica al jazz, che è poi la musica più vicina alle persone. Ieri il mio concerto con Fabrizio Bosso è iniziato con dei problemi tecnici e alla fine è stato bellissimo vedere la platea in piedi… poi ho introducendo la canzone Vita da artista ho cercato di spiegare con il mio inglese…
E com’è il tuo inglese? mmmh… a little bit en-glish! (Scoppia una risata spontanea tra noi due)
Dicevi.. Si, ho cercato di spiegare che in Italia gli artisti rimangono un po’ in disparte, come è accaduto con Bruno Lauzi, Luigi Tenco.
Credi ci sia per un musicista il momento in cui si può dire “sono arrivato”? Penso mai. Partendo dalla Calabria a diciotto anni ho avuto la fortuna di incontrare i grandi cantautori italiani, come Paolo Conte , Fabrizio De André… ecco, ad esempio De André era un uomo pronto a fare il suo tour pieno di energia. Il suo Anime Salve è un capolavoro che non finisce mai di emozionarti e di lasciarti riflettere… credo che la sua morte abbia davvero creato un vuoto culturale nel nostro Paese. In autunno uscirà il nostro nuovo album che conterrà due brani che lo ricordano. La contaminazione è importante, e non a caso questo nuovo album si propone come un lavoro prettamente musicale con la miscela di musiche indiane…
Quale tra gli artisti con i quali ti sei esibito ti ha lasciato il segno? Probabilmente Toots Thielemans. Suonare con lui è stato bellissimo. Ecco la foto, la vedi, lì lungo la parete del corridoio (indicando un quadro tra quella dozzina esposta proprio di fronte a noi). Ricordo che avevo una piccola tastiera portatile nel camerino del Pescara jazz e lì abbiamo suonato qualche nota di Bill Evans. Poi è stato per me indimenticabile il suo incontro sul palcoscenico con il pianista Burt Bacharach, li ho ripresi con la mia telecamera!
Anche ora hai nelle mani una videocamera… Si, è il mio diario di immagini. Qui ho già registrato cinque ore di materiale che dovrò montare una volta tornato a casa.
Marzia Papagna
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